Mi fermo a riflettere solo un secondo, sto salendo un ripido pendio con i miei sci, un gelido vento accarezza la mia pelle e sono completamente circondato dalle nuvole. Ho le mani molto fredde, la neve in faccia e la barba congelata, ma soprattutto non ho la minima idea di come proseguirà la gita, forse il sole spunterà, forse rimarremo tra le nuvole o forse andrà addirittura peggio. Respiro profondamente e sento il mio battito che rallenta, sereno, provo a percepire tutti gli elementi naturali che mi circondano nella loro essenza e mi accorgo che non vorrei essere in nessun altro posto. La natura riesce a trasmettermi delle fortissime emozioni e la montagna è una delle forme più pure. Me le trasmette sensazioni uniche in ogni sua sfumatura, non solo nelle calde giornate estive, ma anche e soprattutto in quelle gelide ed invernali, in quelle piovose e ventose. Uno dei modi più affascinanti con i quali riesco a vivere la montagna è lo scialpinismo. Conosco e pratico questo sport da poco più di quattro anni e me ne sono innamorato fin da subito, per mille motivi: è uno sport vario fatto di estremi, sa unire lentezza a velocità, fatica e dinamismo a momenti di relax, esplorazione ad avventura.

Come ogni attività ad ispirazione alpinistica richiede una grande attenzione e conoscenza del terreno circostante, i pericoli sono molteplici: le valanghe, i crepacci, il freddo ed il meteo spesso imprevedibile. Non solo, é fondamentale saper rinunciare alla vetta al momento giusto, anche se era stata studiata e preparata da lunghissimo tempo. In questi anni mi sono accaduti diversi episodi strani e imprevedibili, alcuni per negligenza altri per semplice fato, tanto che, con i miei compagni di avventura più rodati, ci definiamo TEAM DISAGIO ad honorem. 

Ve ne voglio raccontare alcuni, sia per fare un po’ di autoironia, sia perchè ognuno di questi episodi mi ha insegnato qualcosa che voglio condividere:

• Valle Aurina, Gennaio 2019: metri di neve fresca a terra ed io che stavo “passeggiando” con i miei sci nel bosco sopra casa (rigorosamente sotto una fitta nevicata) stanco della reclusione per maltempo. Dopo poche curve cado rovinosamente e finisco in un buco sotto un albero, sentendo un forte CRACK di rottura. Era il mio sci sinistro, spezzato nettamente in due come fosse un grissino. Ringraziato il cielo di aver rotto lo sci anzichè qualche utile parte del mio corpo, mi carico gli sci a spalle e “nuoto” nella neve (che superava senza esagerare il mio ombelico) per più di un ora per ritrovare la via di casa.. una delle attività più faticose che io ricordi.
  Insegnamento del giorno: adoro la neve abbondante, ma oltre un certo limite sono meglio le ciaspole
• Cervinia, Maggio 2021: come ultima gita della stagione scegliamo una classica, il Breithorn Occidentale salendo da fondovalle sci ai piedi. Partiamo pimpanti e risaliamo verso il rifugio Guide del Cervino, che raggiungiamo in poco più di tre ore. Siamo galvanizzati e, dopo un buon caffè, ripartiamo verso la Gobba di Rollin a quota 3800mt circa, la raggiungiamo un oretta e ci fermiamo ad apprezzare la fantastica visuale sui ghiacciai dell’Aventina e della Verra. Mancano solamente gli ultimi 300 metri di dislivello, ne abbiamo già 1800 sulle gambe e nella mia testa penso “manca poco per la vetta, è quasi fatta”. Mai parole furono più nefaste: in perfetta sincronia io ed il mio compagno abbiamo un crollo fisico, forse dovuto alla quota o forse dovuto alla stanchezza pregressa, che ci fa procedere come delle vere lumache sul falsopiano glaciale che porta al Breithorn. Ricordo il calvario della salita in vetta come fosse ieri, pochi passi e si prendeva fiato, l’obiettivo era farne dieci senza fermarci e ci sentivamo soddisfatti! Dopo altre 3 ore e mezza di sudore e fatica raggiungemmo la vetta, tanto bella quanto agognata.
  Insegnamento del giorno: mai sottovalutare nemmeno un singolo metro di salita
• Ghiacciaio dell’Adamello aprile 2019: avevamo in programma una superclassica: notte al rifugio Lobbie, monte Adamello e discesa dal Pisgana. Alle 7 il meteo era velato, ma prometteva miglioramenti durante la giornata. Alle 9 la nostra cordata aveva già aggirato il Corno Bianco ed eravamo negli ultimi tratti del pian di neve prima di salire sulla cresta finale. Le nubi, che erano alte e poco minacciose, si abbassarono all’improvviso, neve sotto di noi, nuvole bianche sopra che ci avvolgevano come una fitta nebbia. Provammo in modo pratico, dopo tanta teoria ai corsi CAI, ad affrontare il famigerato whiteout: perdemmo all’improvviso ogni percezione di orientamento, pendenza del pendio, distanze e rumori, come fossimo sospesi in un limbo lunare. Decidemmo con un po’ di amarezza, ma anche con saggezza e razionalità che era il momento di rinunciare alla vetta e mettersi al sicuro, provando a ripercorrere a ritroso i nostri passi con il provvidenziale aiuto del mio navigatore GPS. Ci volle quasi un’ora di lento deambulare nella nebbia per uscirne, ma la cosa che più mi sconvolse era la direzione che il navigatore mi indicava: esattamente il contrario di quella che io avrei preso se fossi stato costretto a scegliere senza aiuti tecnologici. In poche parole non avevo la minima idea di dove mi trovavo e di come fare a mettermi in sicurezza. 
  Insegnamento del giorno: l’attrezzatura extra pesa, ma a volte risolve tanti problemi

• Monte Guglielmo, dicembre 2020: pazzia pre-lavoro, alle 5:30 si parte dalla Croce di Marone per sfruttare la neve caduta nelle settimane precedenti con l’intento di godere anche della leggendaria alba sul monte più alto delle prealpi Sebine. Alle 7:00 siamo in vetta senza difficoltà e si presenta ai nostri occhi una delle più belle ed indimenticabili albe che io ricordi. I tipici colori dell’aurora si fondevano con la nitidezza del cielo invernale per generare una miriade di sfumature di rosa e arancione. Non rimaneva che affrontare la discesa con gli sci verso la nostra auto e qui l’amara sorpresa della peggior neve mai sciata. Sciata era davvero una parola grossa visto che riuscimmo in due a fare una curva (con caduta) per poi renderci conto della terribile crosta, intervallata da ghiaccio, che ricopriva l’intero percorso. Forse all’andata eravamo troppo assonnati per rendercene conto! La discesa fu più lunga e faticosa della salita, gambe distrutte e velocità di crociera ridotta al minimo per evitare disastri. Per la cronaca facemmo entrambi tardi al lavoro, nonostante la mia guida sportiva durante la discesa in auto. Insegnamento del giorno: la salita è solo metà della fatica (a volte anche meno)

Lo scialpinismo per me è tutto questo, è gioia, è condivisione della fatica, aiutarsi a vicenda per raggiungere piccoli grandi obiettivi. Con grande rispetto e attenzione della vita, della natura e della montagna… e sempre in cerca della prossima avventura!